The Sanremo way

Sono giorni di calma apparente, almeno nell’ambiente eurovisivo. Apparente perché un lungo comunicato EBU sulla salvaguardia del pluralismo nell’emittente pubblica della Slovacchia ha riacceso gli animi sul bannare Israele dall’Eurovision, ed il ritiro della BBC e del Regno Unito dal Junior Eurovision 2024 ha un po’ messo a rischio la salute del contest per bambini, segnali che potevamo già ampiamente dedurre dall’enorme ritardo nella comunicazione dei contatti unici totali e dal calo di questi ultimi (27 milioni contro i 33 del 2022 e 2021, ben 6 milioni di meno).

Tanti fornelli si stanno lentamente riaccendendo, ed è il segno di un’estate che sembrerà non finire mai (semicit.), come l’assenza di Martin Osterdahl a Madrid per lo Junior Eurovision, le minacce di Paesi che vorrebbero ritirarsi e di uno Joost Klein selvatico che cambia la sua bio in “Eurovision 2025” (e sapete le grasse risate che mi farò se nulla di tutto questo avverrà).

Ma in tutto ciò, vogliamo parlare di Sanremo? 

Come sicuramente saprete tutti, il timone dell’Ariston passa ad un vecchio capitano coraggioso, Carlo Conti. Con tutto che ho le mie perplessità sul suo operato, voglio assegnargli questo epiteto baglioniano per due motivi: per aver preso le redini di un Festival ad un picco storico della sua popolarità con la grande responsabilità di mandare avanti quanto iniziato da Amadeus nel suo quinquennio, ma soprattutto perché dieci anni fa prese per la prima volta le redini di un Festival che veniva dalla serata finale meno vista di sempre e da un cast che pur essendo di buona manifattura è stato decisamente troppo “sopraffino” ed elitario per quello che è sempre stato un Festival aperto a tutti e di tutti.

Recentemente sono salite all’interesse del sottoscritto e di amici eurofan una serie di foto di personalità eurovisive intente a presenziare ad un evento a Roma intitolato “The world of Sanremo Festival”: tra le personalità coinvolte cito Elhaida Dani (rappresentante albanese nota anche in Italia per la vittoria a The Voice e nuova direttrice artistica del Festivali i Kenges), Lee Smithurst (capodelegazione inglese, già invitato a Sanremo 2024) ed Oksana Skybinska, capodelegazione dell’Ucraina.

Parlando un po’ con amici eurofan mi sono reso conto di una cosa molto specifica, e cioè che se da una parte c’è un Eurovision concluso con le ossa rotte a seguito di tutti gli scandali con cui si è trovato ad avere a che fare (e che finora di fatto nessuno in EBU ha effettivamente affrontato), dall’altra c’è Sanremo che ha chiuso il quinquennio Amadeus con un impressionante 74% di share e ben 14,3 milioni di spettatori di media (per farvi un’idea, ha fatto più di tutte le partite degli Europei in cui l’Italia ha giocato nei gironi di qualificazione).

Ed è qui che abbiamo iniziato a chiederci cosa fosse a rendere Sanremo “Sanremo” (scusate il gioco di parole) e come mai tutto d’un tratto ci sia stata questa inversione di tendenza che ha portato dei delegati di televisioni estere ad interessarsi ad esso dopo che per anni è stato trattato quasi con sufficienza dagli italiani stessi?

Le motivazioni sono tante, e proverò magari a trattarne alcune in questo articolo, ma prima vorrei far notare come ci siano al momento già tre selezioni che, almeno nelle intenzioni, si ispirano a Sanremo, vale a dire il Festivali i Kenges in Albania, Una voce per San Marino ed il Benidorm Fest in Spagna, sebbene entrambe le selezioni vadano ad interessare tipologie di pubblico differenti.

Il Festivali i Kenges vanta 62 edizioni sulle sue spalle, ed una storia fortemente intrecciata con quella del Festival di Sanremo, tant’è che lo ritengo a mia modesta opinione la selezione più vicina all’italico concorso: la presenza di Big e Nuove Proposte che gareggiano insieme per vincere l’ambito premio, con il vincitore scelto dalla giuria ed il rappresentante eurovisivo dal televoto, un’orchestra dal vivo ed una conduzione poco schematica. Tuttavia negli anni c’è stata una specie di “restaurazione” del Festival, ritornando a focalizzarsi esclusivamente sulla qualità dei testi senza tuttavia tenere conto del principale fruitore della musica, ovvero il pubblico (che può essere interessato ad un testo profondo come anche ad una melodia scanzonata senza doversi immedesimare in Tafazzi).

Questo ha portato varie polemiche nel Paese delle Aquile, e la speranza è che Elhaida Dani possa aver appreso i preziosi consigli da questo meeting per tornare a favorire una pluralità di generi musicali e di rappresentanza demografica, senza doversi necessariamente snaturare (anche seguendo le orme della prima direttrice artistica donna, Alketa Vejsiu, poi co-conduttrice a Sanremo nel 2020).

Su Una voce per San Marino non mi dilungo perché è sparare sulla croce rossa: il loro tentativo (seppur malcelato) è di creare un “loro” Sanremo senza mai citare quello vero e infarcendolo di ospiti d’onore che non azzeccano niente (Massimo Boldi says hello), presentazioni legnose e macchiettistiche e prolungando inutilmente la serata, specie se si considera che San Marino RTV non è rilevata da Auditel quindi non c’è neanche da preoccuparsi. Ma tanto è parlare ad un muro visto che sappiamo che tutto quello che gli interessa è fare soldi e far campare San Marino un mese in più con tutti i soldoni che si fanno, quindi se a loro sta bene perché dirgli di cambiare? (ma poi non si lagnino dei risultati scadenti).

Infine c’è il Benidorm Fest, risorto dalle ceneri del Festival de Benidorm nato negli anni ’60 ispirato da Sanremo, con l’obiettivo di rappresentare in toto la realtà discografica della Spagna. Obiettivo ammirevole sul piano teorico, ma che nella realtà dei fatti si è scontrato con un dilemma che assilla da un po’ le menti degli organizzatori: bisogna scegliere in funzione dell’Eurovision o scegliere in funzione di promozione della musica spagnola? E la realtà è che finora non sono riusciti a fare bene né una cosa né l’altra, tant’è che sono appena 4 brani su 48 hanno certificato nelle classifiche, creando uno show fatto appositamente per gli eurofan spagnoli, che pur essendo molto più numerosi rispetto a quelli di altri Paesi rappresentano pur sempre una minoranza.

Non è un caso se un gruppo di delegati di RTVE (l’emittente pubblica spagnola) ed il sopracitato Lee Smithurst abbiano fatto un salto in Riviera lo scorso febbraio per capire quali fossero i meccanismi dietro il Festival e quali criteri ci fossero nella scelta dei brani. Ma quale sarà quindi questa modalità d’azione “puro estilo Sanremo” (anche qui cit per pochi eletti)? Proverò a parlarne ed eviscerarli uno dopo l’altro

  • Una tradizione che perdura da 74 anni

Come ben sappiamo, ciò che rende Sanremo “l’evento” dell’intera TV italiana è proprio la sua lunga tradizione, e di come tutti gli italiani (anche quelli che dicono di non guardare Sanremo) alla fine vi sono in qualche modo legati. Tutti hanno quella canzone sanremese che sia degli anni 80 o della decade passata a cui sono affezionati per i motivi più disparati, di conseguenza è un legame che Sanremo ha cementificato con il popolo italiano per oltre sette decadi, qualcosa che per certi versi è accaduto con altri Paesi all’Eurovision Song Contest.

Se è vero che in Italia l’interesse per l’Eurovision è aumentato anno dopo anno grazie ad una giusta promozione, all’interesse della RAI e soprattutto in seguito al boom di Torino 2022, non si può negare che tra i due eventi in Italia sia molto più atteso (ed esposto) il Festival di Sanremo che non l’Eurovision. In altri Paesi questo non accade, semplicemente perché spesso non hanno degli spettacoli musicali che possano competere (a livello di “evento”) con l’Eurovision, unica eccezione è il Melodifestivalen in Svezia, lì dove l’Eurovision è religione ma il Mello ancora di più.

  • Una scommessa per l’economia musicale

Non tutti lo sanno, ma il Festival di Sanremo è nato nel secondo dopoguerra per far ripartire due industrie: quella della musica e dei dischi e quella dei fiori, quindi quale occasione migliore se non quella di promuovere una cosa e l’altra nella città dei fiori per antonomasia?

Questo legame è andato avanti per tanti anni con alti e bassi, con i boom che ci sono stati principalmente negli anni 60, negli anni 80 e dalla seconda metà degli anni ’10 (più o meno da Carlo Conti in poi), e quindi è nell’interesse delle case discografiche mandare i loro cavalli vincenti ed è nell’interesse dei cantanti portare un brano a Sanremo, perché la rilevanza che ti dà un brano a Sanremo non te la dà nessuno, basti solo vedere come una “Ora e qui” o una “Sali” abbiano avuto il decuplo delle riproduzioni/views medie del repertorio recente dei rispettivi artisti.

  • Artisti di primo livello o comunque rilevanti nel loro panorama

Si ricollega direttamente al punto di sopra, un evento come Sanremo è apprezzato perché attira davvero di tutto e di più, e questo è dovuto anche al sapiente lavoro degli ultimi direttori artistici, che hanno portato in gara artisti dal background non tipicamente sanremese con brani non tipicamente sanremesi (penso a "Wake up" di Rocco Hunt, "L’amore è una dittatura" degli Zen Circus fino a Geolier, quello che di fatto è il nome più di successo che abbia gareggiato a Sanremo negli ultimi anni). 

Un artista di livello con un brano competitivo e musicalmente valido è quello che serve anche rilanciare carriere in parabole discendenti (nulla mi toglierà dalla testa che la seconda vita artistica di Mahmood sia dovuta principalmente al boom avuto con “Tuta gold”). Per giunta se negli anni passati c’erano tanti artisti che andavano a Sanremo come unica possibilità di vendere dischi, adesso ci sono artisti che riescono a vendere, certificare dischi e fare sold out ai concerti (che siano in club, palazzetti o addirittura stadi) anche senza il Festival, ma che in ogni caso si mettono in gioco e cercano il giusto boost.

A tutto questo si unisce la sapienza di un bravo direttore artistico, che riesce nella composizione del suo cast nel momento in cui trova cantanti e brani nazionalpopolari ma anche nicchie di genere, esperimenti da provare sul campo e perché no, anche cantanti nazionalpopolari con brani che non ti aspetteresti. Vuoi una ballata pop? Ecco “Fino a qui” di Alessandra Amoroso. Vuoi una ballad indie che ti faccia raggomitolare in posizione fetale? Ecco “Tutto qui” di Gazzelle. Vuoi soltanto qualcosa che ti faccia muovere le anche a ritmo? Ecco per te “Governo punk” o “Diamanti grezzi”.

Ciò che Amadeus ha saputo fare molto meglio rispetto ai suoi predecessori è stato proprio questa grande variazione dell’offerta e di gusti assortiti (forse faticate a ricordare che nel 2015 ben QUINDICI brani su 20 parlavano d’amore, nel 2024 il numero era lo stesso ma c’erano dieci brani in più).

  • L’investimento della RAI

Le ultime edizioni del Festival di Sanremo sono costate circa 17 milioni di euro, poco meno di quanto è costato l’Eurovision 2022 a Torino (con costi tra i 19 e 20 milioni di euro). In tutto questo bisogna considerare gli investimenti della pubblicità, che solo nel 2022 hanno fruttato 42 milioni di euro netti, e dunque un guadagno (solo per la RAI) di circa 25 milioni di euro. Sanremo è e resta (e resterà) una macchina macinasoldi per la RAI ed è questo che la porta a considerare come il prodotto di punta dell’intera stagione televisiva, ed è importante che gli ascolti riescano a ripagare tutto questo carrozzone. La stessa cosa funziona benissimo in Paesi come la Svezia, dove il Melodifestivalen riesce addirittura a superare l’Eurovision con gli ascolti (arrivando a quote share che superano il 75%), ma meno in Spagna, dove a stento la finale dello scorso Benidorm ha vinto la serata (con un magro 16,6%).

Quello che è importante fare è il creare hype in maniera giusta, e se ad esempio il rivelare i partecipanti durante i Latin Grammy è una buona idea, al contempo non si rivela tale se il cast si scopre essere molto al di sotto delle aspettative.

  • Un pubblico grande e trasversale a cui fare riferimento

La questione dei grandi ascolti si collega direttamente al quantitativo numerale di persone che guardano la televisione, soprattutto in un mondo in cui la televisione come mezzo è guardato sempre di meno (e da una fascia d’età mediamente sempre più anziana) a fronte dei nuovi dispositivi tecnologici. La finale di Sanremo 2024 è stata vista mediamente da quasi 15 milioni di spettatori, con share impressionanti che superano l’80% nelle fasce d’età più giovani (il target che meno di tutti gli altri guarda la televisione).

Questi grandissimi numeri (e gli altrettanto enormi numeri generati dal televoto, sia in termini di numeri voti che in termini di guadagni generati), contribuiscono alla popolarità di Sanremo ed alla sua sempre più crescente competitività. Una canzone come “La Noia” di Angelina Mango è stata la preferita al televoto di circa il 16% di 8 milioni di spettatori. Facendo due conti e supponendo che ognuno di questi spettatori abbia votato una sola volta i cinque finalisti (quindi un ragionamento già fallace di suo), si giunge a conclusione che il brano di Angelina sia stato il preferito di un massimo teorico di 1,4 milioni di persone, che è un numero altissimo di preferenze.

Tutto questo permette a Sanremo di plasmare una canzone che già di suo è competitiva per un concorso musicale, essendo un brano che viene scelto da una platea più che ampia sia per varietà che per valori assoluti. Ed è chiaro che questo si ripercuote positivamente in parte anche con gli ottimi risultati dell’Italia all’Eurovision (unico Paese della storia recente ad aver centrato sette top 7 di fila, battendo il record della Svezia nel periodo 2014-2019).

  • Le polemiche e gli incidenti di percorso

È inevitabile che ogni grande evento come Sanremo attiri puntualmente fiumi e fiumi di polemiche, dalle più semplici e banali come qualcuno che rifiuta un’intervista fino a questioni legali legate a falsificazione di documenti passando per i “costi elevati a carico dei consumatori” (consumatori inconsapevoli che Sanremo sia pagato dalle pubblicità e che il loro canone in realtà vada a rimpinzare il portafoglio di Nunzia Di Girolamo). 

Comprendo che questo sia un punto estremamente controverso, lo sostengo io per primo visto che non sono mai stato un grande appassionato di gossip beceri e di “purché se ne parli”, ma ad una certa mi viene da unire i puntini e realizzare che probabilmente non è un caso se la prima edizione del Benidorm Fest sia stata quella con gli ascolti maggiori: tra la questione del “tettamondo” di Rigoberta, una giuria tacciata di corruzione ed il ritiro di Luna Ki per la questione autotune è stato uno degli argomenti più discussi del mese di gennaio, fino alla “controversa” coronazione di Chanel vincitrice grazie alle giurie e conseguenti lanci di strali salvo poi salire sul carro del vincitore neanche quattro mesi dopo.

Quindi per trarre conclusioni, esporre l’evento, pubblicizzarlo e scriverne (bene o male che sia) è quello che aiuta l’evento stesso ad attirare l’interesse, non è un caso se in Italia o in Svezia non si parli altro che di Sanremo e Melodifestivalen per tutto il periodo di svolgimento degli stessi.

  • L’attesa

Anche questo è un punto estremamente fragile e che non potrà mai essere adattato senza grandi ascolti ed un cast di ottimo livello, ma quello che porta tante persone ad avvicinarsi a Sanremo è anche lo scoprire al momento stesso come suona la canzone con l’orchestra, e di scoprire il giorno dopo come suona su YouTube/Spotify. Questo aiuta il pubblico ad interessarsi al concorso ed aiuta la musica ad essere la protagonista della serata.

Comprendo che non sia fattibile in tante selezioni poiché conviene ai cantanti in primis rilasciare il proprio brano settimane (se non mesi) prima per aiutarli a macinare qualche views e stream in più. Non essendo artisti che vivono di rendita con l’assegno mensile SIAE, è logico pensare che a nessuno convenga il mantenere una segretezza, soprattutto se poi gli ascolti restano buoni ma non ai livelli dei due sopracitati, cui aggiungo anche il Festivali i Kenges che dal canto suo comporta una tradizione storica tale da poter sia attirare grandi nomi che lasciare la segretezza sulla canzone (anche perché c’è un modo molto diverso di fruire la musica rispetto all’Italia ed alla Svezia).

  • Una macchina che funziona in maniera imperfettamente perfetta

Il bello della diretta, si direbbe. Ricordo come tanta gente nel 2021 inneggiava al boicottaggio del Festival a seguito della pandemia che aveva messo in ginocchio l’intero mondo dello spettacolo, una polemica che io ho ben compreso ma che non ho mai del tutto condiviso. Perché se è vero che il Festival di Sanremo si tiene in un teatro, è anche vero che si tratta pur sempre di un programma televisivo e che seguendo questo ragionamento fallace avrebbero dovuto chiudere anche tutti i telegiornali, tutti i programmi televisivi e via dicendo.

Molta di questa gente polemica probabilmente non ha neanche la più pallida idea di quanta gente lavori dietro quel palco, di quanti tecnici, fonici, responsabili siano in quel bugigattolo che fattura 40 milioni annui solo di ritorno pubblicitario. L’imperfezione è tipica dei modi di fare televisivi basati sull’improvvisazione (come tantissimi show italiani, francesi ed americani), è un tipo di televisione che può piacere o meno, ma che è anche nella sua non-scripted iconicity che trova la sua dimensione. 

Ovviamente a tutto deve esserci un limite, se ho ammesso di apprezzare una televisione più spontanea e meno “distaccata” o impostata (come lo sono tanti show del Nord Europa) ammetto anche di detestare quando questa televisione diventa TROPPO spontanea al punto da protrarsi in inutili lungaggini: per me la top 1 di cose da non rifare mai più nella vita è la seconda serata di Sanremo 2020, con il primo cantante nella Gara dei Big che si esibisce alle 22:07 (!!!) dopo QUARANTA minuti di roba inutile di Fiorello. Anche meno.

In conclusione di questo articolone la domanda resta sempre quella: Qual è il “modo di fare le cose a Sanremo?” Come a tante domande non c’è una risposta ben precisa, ma penso che la si possa ritrovare un po’ tra le righe di queste mie parole che ho provato a mettere giù.

Sanremo è una festa per tutti, a cui tutti partecipano e che unisce ancora gli italiani dopo sette decadi e mezzo (che se ci pensate è qualcosa di assurdo per un’Italia che sociologicamente parlando è sempre stata estremamente diversa e divisa), un traino per l’industria e per il settore musicale e turistico che permette a tante aziende, oltre alla Rai ovviamente, di andare avanti e che permette a tanti artisti di potersi affermare e di rilanciare le loro carriere.

Le agili mosse fatte da Amadeus, riportando anche Big della musica italiana che quel palco l’avevano abbandonato da anni presentandosi come “ospiti speciali”, hanno permesso di amplificare l’evento, riuscendo ad attirare persone (dentro e fuori dal piccolo schermo) che in altri anni non si sarebbero avvicinati al televisore neanche per spostarsi su Netflix con il telecomando.

È forse questo il segreto di Sanremo, unire tutti per il bene di tutti?