18 marzo 2023, a tre anni dalla cancellazione dell'Eurovision
Oggi è il 18 marzo, che da tre anni è diventata una delle date simbolo per ogni eurofan, e che in un certo senso ha segnato un vero e proprio spartiacque tra il vecchio ed il nuovo Eurovision. Il 18 marzo 2020 infatti, in piena pandemia, l’Eurovision 2020 era definitivamente cancellato, e nessuna gara avrebbe avuto luogo a maggio a Rotterdam (la cui arena nel frattempo era anche diventato ospedale Covid).
Ricordo quella data come molti altri ricorderebbero l’11 settembre, con le dovute differenze tra i due eventi. Ero a casa ed il giorno prima avevo ricevuto un posticipo di quello che sarebbe stato il mio primo esame online, ma nel frattempo dando uno sguardo alle odds dell’Eurovision vedevo come Diodato aveva iniziato una lenta ascesa verso la vetta della classifica, ma quella classifica resterà per sempre bloccata immobile a quel 18 marzo.
La soluzione trovata alla cancellazione dell’Eurovision fu una specie di show celebrativo nei giorni dell’evento, tenuto a Hilversum ad oltre 60 anni dalla prima edizione nei Paesi Bassi nel lontano 1958. Una soluzione che molti fan, incluso il sottoscritto, non hanno apprezzato, ed ora spiegherò le mie ragioni:
1. L’Eurovision è un’occasione più unica che rara di avere un ingente ritorno economico.
Limitando gli accessi ai soli residenti nei Paesi Bassi (com’è stato fatto per il 2021 d’altronde), e magari senza necessariamente organizzare un Eurovillage titanico (che nel 2021 neanche si è tenuto) sarebbe stato possibile incassare soldi per ripagare l’enorme spesa fatta dai Paesi Bassi, che hanno buttato venti milioni di euro nel bagno e tirato lo sciacquone. Le quarantene autoimposte sono state le soluzioni attuate per eventi decisamente più grandi quali gli Australian Open e l’NBA, di conseguenza non vedo perché non si sarebbe potuto optare per una soluzione del genere.
2. Posticipare di un solo mese l’Eurovision garantendo le live on-tape
È vero che l’Eurovision si tiene normalmente a maggio, ma un rinvio anche solo di un mese per dare la possibilità di smantellare l’ospedale o eventualmente ridimensionare il palco ai fini dello spazio avrebbe permesso di organizzare un’edizione con tutti i crismi. Dai propri Paesi ogni partecipante avrebbe realizzato il proprio live on-tape esattamente come è stato fatto nel 2021 e nel 2022, abbassando un minimo le richieste minime necessarie dal momento che determinate nazioni i mezzi non ce li hanno.
3. Gli artisti e le delegazioni hanno perso ingenti somme di denaro
Riallacciandosi a quanto sopra, le delegazioni spendono tempo e denaro nella realizzazione di quello che per un buon 80% dei partecipanti è l’unico vero grande successo (relativamente parlando) e spesso per nazioni più povere si parla di accordi con case discografiche o etichette che ti garantiscono il lavoro con tutti i crismi per un solo anno, poi arrivederci e grazie. Penso che i casi più eclatanti siano senza dubbio Romania, Bulgaria e Lettonia, che da puntare alla top 10 o comunque almeno alla finale è successo che solo la Bulgaria ce l’ha fatta, arrivando solo all’undicesimo posto e iniziando un capitombolo verso il basso che continua tutt’ora.
4. Gli show di selezione cancellati
In alcuni casi gli show di selezione sono i programmi di punta delle televisioni, soprattutto se pensiamo al Songvakeppnin islandese o il Beovizija serbo, che sono stati cancellati nel 2021 selezionando internamente gli artisti del 2020. E questo significa ulteriore perdita di denaro ricavati dalle pubblicità, dunque non capisco perché deve essere solo l’EBU a pretendere di voler guadagnarci se i suoi membri sono privati di questa possibilità? Per non parlare del fatto che le selezioni del 2021 in buona parte dei casi sono stati quasi falsati per far avanzare il reietto della situazione del 2020, portando quasi ad un’obbligata scelta interna.
5. Europe: Shine a light non è servito a niente
La necessità di uno show sostitutivo in cui si è parlato di chiunque fuorché dei cantanti in gara non l’ho seriamente capita. Ho trovato ridicolo il modo in cui gli “”ospiti”” della serata abbiano avuto tanto tantissimo tempo a disposizione mentre ai cantanti sia stata riservata una magra presentazione di 45 secondi scarsi seguiti poi da un video in cui tutti dicevano la stessa cosa (“sono tempi duri ma ce la faremo”, “non vedo l’ora di farvi vedere quello che ho preparato per l’anno prossimo”) e l’unico che ha sfruttato questo momento al massimo è stato proprio Diodato, peccato per la RAI che ha benpensato di inserire interviste a caso di cui nessuno sentiva il bisogno, che tuttavia ci hanno portato ad un 11% di share oltre ogni più rosea previsione.
6. L’Eurovision non è stato fermato neanche dalle guerre
Molti di voi ricorderanno le edizioni del 2017 e 2019 come travagliate (molto più del 2022 in cui era semplice astio nei confronti dell’Italia) a ragion veduta. Difatti nel 2017 è stato solo e soltanto grazie alla televisione svedese SVT che ha riciclato tuto quanto dal suo Eurovision appena passato che l’Eurovision di Kiev ha avuto luogo. A inizio maggio infatti l’intero team dietro la realizzazione dell’Eurovision si dimise mettendo l’EBU nei pasticci fino al collo, e la stessa cosa accadde nel 2019 quando a due settimane dall’inizio dell’Eurovision ed in pieno periodo prove ci furono dei bombardamenti non troppo distanti dalla città di Tel Aviv dove l’Eurovision ebbe luogo. E neanche mi soffermo a parlare dell’edizione del 1991 che da Sanremo fu spostata a Roma perché c’era una cazzo di guerra del Golfo.
Se dunque EBU non si è preoccupata di rischiare la pelle di chi ha poi comprato biglietti e contribuito alla sua economia non capisco perché improvvisamente quando c’è un effettivo minore introito decida che è meglio chiudere tutto. A questo punto buonanotte a Paesi lontani come Georgia, Armenia e Islanda che non vinceranno mai solo perché EBU non vuole.
Ovviamente questi non sono che miei pensieri ed interpretazioni, di un fan che da ormai quindici anni (sigh) segue ed ama l’Eurovision come se fosse un suo figlio, che dunque possono essere condivisi o meno ma che non vengono scritti da una persona che l’Eurovision lo segue da ieri, ecco.
Ora che finalmente il rischio cancellazione dell’Eurovision è bello che lontano non mi resta che attendere che cosa riserverà la nostra amatissima EBU in futuro, dopo che ha di fatto regalato una vittoria in un momento in cui tutto era necessario fuorché l’affibbiazione di “contest politico” (che ora sarà un marchio impossibile da togliere)e dopo che ha già deciso di lucrare su di ogni minima cosa possibile ed immaginabile solo perché ha deciso di marketizzare l’evento più di quanto non fosse già marketizzato. L’unica cosa buona è che è rimasta la stampa online, visto che le intenzioni dello scorso anno erano di non ripristinarla (per misteriose ragioni di cui non starò qui a disquisire).